Ritorna dicembre con la lista dei regali.
L‘atmosfera non è la stessa degli altri anni.
Mi ritrovo a percorre il lungomare di Diano, con un gomitolo di pensieri nel cuore.
Mi ritengo fortunato a vivere in Riviera, dove storie di pescatori, che vivono ed hanno sempre vissuto con e per la pesca, mi distraggono dalla nebulosa inquietudine di questo difficile anno.
Buttare la mente sulla vita intensa di uomini che hanno mani consunte dal sale e rughe profonde come canyon, che hanno visto orizzonti infiniti, mi distrae da questo periodo.
Un periodo che dovrebbe essere di festosa voglia di stare con amici e parenti e che purtroppo, invece, dovremo imparare a viverlo in maniera più mesta e silenziosa.
Mi è capitato tante volte di guardare la “gente di mare”, i “vecchi lupi di mare”, affaccendati nel riordinare le reti, che si attorcigliano come chiome ricce da pettinare.
La maestria, nel rimettere in ordine tutto quello che è stato indispensabile per la pesca, ha un no so che di vissuto.
I nostri anziani sono la nostra memoria, il nostro diario dei ricordi e i loro volti sanno di saggezza.
Non perdo mai occasione di farmi raccontare storie di mare e di sale.
Il lavoro di chi vive di mare è sicuramente affascinante, come tutti i nodi che legano l’uomo alla natura.
Osservarli, mi ha sempre fatto venire in mente lunghe notti stellate o albe dai colori incredibili, con lo sciacquio delle onde sulla prua: insomma poesia e tanto altro.
Il sapere tramandato di padre in figlio, la capacità di fare nodi e di scioglierli, l’essere delicati al momento giusto o fortissimi quando è il momento di issare le reti, ai miei occhi è decisamente intrigante.
Un mondo di uomini coraggiosi, i “vecchi” che hanno lavorato per decenni in maniera eroica, senza comodità ne meccanismi moderni, che oggi aiutano sicuramente, ma che fanno perdere un po’ di quella magia di tempi passati.
Assorto nell’osservare l’andirivieni di reti e uomini, un piccolo omino, dai capelli grigi e dagli anni che si riuscivano a contare sul suo volto, mi si avvicina.
“Ti piace pescare?” mi domanda con marcata cadenza genovese…
A dire il vero non sono mai andato a pescare con le reti, ma ne sono molto affascinato.
Il piccolo uomo mi chiede se ho voglia di ascoltare una storia della sua infanzia, quando giovanissimo accompagnava suo padre.
Senza aspettare la mia risposta comincia il racconto:
“Avevo sette anni quando ho cominciato ad uscire in barca, era necessario che aiutassi mio padre, la famiglia era numerosa e purtroppo i soldi non erano molti.
I motori all’epoca non c’erano e le nostre braccia erano la forza che permetteva alla barca di percorrere le strade del mare.
Erano anni difficili, andare a caccia di pesci, gettare all’alba in inverno o all’imbrunire d’estate le reti erano fatiche inenarrabili.
Quando stremati, e con la pelle strinata dal sale, tornavano a casa con la nostra piccola paga, eravamo soddisfatti del nostro sudato lavoro.
Ora non esco più in mare, ho quasi novant’anni e il mare lo conservo dentro agli occhi, sempre pieni di gratitudine per quello che questo infinito blu mi ha fatto vivere in maniera così intensa.
Rimango ancora un attimo sulla spiaggia, a guardare il piccolo uomo che, terminato il suo racconto, si accinge a tornare a dare i suoi preziosi consigli ai nipoti.
Deglutisco, sento che qualcosa sta iniziando a pizzicarmi il cuore.
Butto un ultimo sguardo al “mio” mare e mi appresto a riprendere la strada per tornare a casa.
La gente di mare ha il cuore immerso nei valori dei ricordi e l’anima ricca di energia della natura.